Gli studi biochimici hanno tracciato la strada verso il primo farmaco per i malati di fibrosi cistica

Gli studi biochimici hanno tracciato la strada verso il primo farmaco per i malati di fibrosi cistica

di Paola Bruni (Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare).

Le proteine rappresentano una categoria di biomolecole di fondamentale importanza per gli organismi viventi. Si tratta di una classe di macromolecole biologiche molto numerosa, caratterizzata da elevata specificità d’azione e grande varietà di funzione. Le proteine differiscono tra loro per il numero e la sequenza degli amminoacidi che legandosi gli uni agli altri le compongono: i venti tipi diversi di amminoacidi sono stati efficacemente paragonati alle lettere dell’alfabeto che possono combinarsi a formare un’infinita varietà di parole, poiché legandosi tra loro in maniera variabile sia per numero che per tipologia possono formare un’immensa varietà di proteine.

La sequenza amminoacidica delle proteine è definita dalla sequenza nucleotidica dei geni corrispondenti e a sua volta determina, attraverso un complesso processo di ripiegamento, l’assunzione della corretta “forma”, cioè di una precisa struttura tridimensionale, che è responsabile dell’espletamento della loro specifica funzione.

A tale riguardo le proteine, in qualità di componenti essenziali degli organismi, svolgono moltissime funzioni, anche in concerto tra loro o con altre biomolecole. Molte proteine sono enzimi che catalizzano reazioni biochimiche e sono vitali per il metabolismo; altre svolgono importanti funzioni strutturali o sono rilevanti per la comunicazione cellulare, la motilità, la risposta immunitaria, il trasporto di ioni e nutrienti a livello delle membrane cellulari.

Le funzioni delle proteine dipendono dal loro ripiegamento

Lo svolgimento della specifica funzione di ciascuna proteina è strettamente dipendente dalla sua corretta “forma”: perciò il ripiegamento della proteina è un processo fondamentale, che si verifica in tempi rapidi, guidato da interazioni intramolecolari ed è in certi casi favorito dall’intervento di proteine specifiche chiamate chaperoni.

Quando il processo di ripiegamento fallisce le proteine risultano mal strutturate, e pertanto sono in genere inattive, anche se in alcuni casi possono avere funzionalità modificata o essere addirittura tossiche.

Una proteina mal strutturata, incapace di svolgere la propria funzione può essere il risultato di mutazione, cioè dell’alterazione del messaggio portato dal gene per la sua codifica. Ciò avviene quando la variazione della tipologia della sequenza di amminoacidi che contraddistingue la proteina, altera le interazioni intramolecolari che ne guidano il ripiegamento.

Fibrosi cistica, una malattia genetica grave causata dal mal ripiegamento di una specifica proteina

Tra le molte proteine che in questi anni sono state individuate come causa di patologie a seguito di mutazioni genetiche che ne impediscono o ne alterano il ripiegamento, particolare attenzione merita la proteina responsabile della fibrosi cistica, malattia genetica tra le più diffuse. La proteina, indicata con l’acronimo CFTR, è composta da poco meno di 1500 amminoacidi ed è normalmente espressa nelle cellule epiteliali dove a livello della membrana cellulare apicale funziona come canale per gli ioni cloruro.

Nei pazienti affetti da fibrosi cistica la mancata fuoriuscita degli ioni aumenta la viscosità del muco, che viene perciò reso meno scorrevole e capace di ostruire i dotti principali, causando grave sintomatologia sia a livello polmonare che a livello del pancreas e altri organi interni.

La fibrosi cistica è una malattia genetica grave che, purtroppo, incide in maniera negativa sulla qualità della vita dei pazienti e sulla loro aspettativa di vita. Pur essendo molte diverse le forme della patologia, l’aspetto più critico è legato alla progressiva insufficienza respiratoria causata dalle ricorrenti infezioni polmonari.

Il gene che codifica la proteina è stato individuato poco più di 30 anni fa; da allora la caratterizzazione della fibrosi cistica a livello molecolare è proseguita incessantemente. Dalle ricerche svolte è emerso che pur essendo il gene soggetto a moltissime mutazioni (circa 2000), soltanto alcune decine di queste causano malattia. Tra queste, la mutazione indicata come delta F508, responsabile della delezione di un singolo amminoacido, è molto diffusa essendo presente in circa l’80% dei pazienti. La proteina CFTR codificata dal gene con mutazione delta F508 ha maggiori difficoltà nel ripiegamento ed è largamente degradata, mentre una piccolissima frazione si inserisce correttamente nella membrana e oltretutto presenta una ridotta capacità di funzione del suo canale.

Come si cura la fibrosi cistica? I primi farmaci aiutano la proteina CFTR a ripiegarsi correttamente

Grazie ai numerosi studi biochimici che hanno fatto luce sulla struttura tridimensionale della proteina CFTR, la regolazione della sua funzione di canale e dell’iter di biosintesi e del successivo traffico intracellulare, dopo anni di tentativi infruttuosi è stato compiuto un notevole passo avanti verso la terapia della fibrosi cistica.

L’approccio seguito con successo è quello dell’impiego di piccole molecole definite “correttori”, capaci di legarsi selettivamente a specifiche zone della proteina ed agire da chaperoni, cioè promotori del ripiegamento proteico, insieme ad altre piccole molecole definite “potenziatori”, che legandosi in un’altra parte precisa della proteina sono in grado di attivare la funzione di canale.

L’ultimo farmaco, approvato recentemente dalla FDA (2019) e dall’agenzia europea per i medicinali (EMA) (2020) è un cocktail di tre diversi composti chimici, brevettati con i nomi di Elexacaftor, tezacaftor, ivacaftor: due di essi agiscono da correttori, il terzo da potenziatore della proteina. Si tratta della prima terapia validata per una vasta platea di pazienti affetti da fibrosi cistica, con lo scopo di rallentare il progredire della patologia migliorando la funzionalità della proteina CFTR.

Risultati incoraggianti emergono da un primo studio pubblicato lo scorso novembre, che ha monitorato lo stato clinico di un’ampia coorte di pazienti dopo 6 mesi di trattamento con il cocktail di farmaci: i pazienti mostrano un miglioramento significativo della funzionalità polmonare e dei sintomi respiratori. È un primo traguardo molto importante in attesa di raggiungerne altri più ambiziosi capaci di curare la malattia fino dalla sua diagnosi.