Lo stress alla base della vita sulla Terra

Lo stress alla base della vita sulla Terra

Contributo di Francesco Cappello e Stefano BurgioSocietà Italiana di Biologia Sperimentale (SIBS)

 

Quando pensiamo allo stress, ci vengono in mente sensazioni sgradevoli, pressioni psicologiche, condizioni ambientali avverse. Tuttavia, la storia dell’evoluzione della vita sulla Terra potrebbe essere letta come una lunga risposta adattativa allo stress. Fin dalle sue primissime fasi, l’evoluzione biologica è stata accompagnata, se non guidata, dall’evoluzione di molecole deputate a proteggere la cellula dai danni provocati da condizioni ambientali ostili. Tra queste, un ruolo di assoluto rilievo è svolto dalle proteine da shock termico – note come heat shock proteins (HSPs) -, e più in generale da quelle chiamate chaperoni molecolari. Lo stress, in questo senso, non è soltanto una condizione da evitare, ma un fattore che ha agito da selettore naturale. Proprio come la pressione selettiva ha favorito l’evoluzione delle pinne nei pesci o dei polmoni nei tetrapodi, così le pressioni ambientali hanno stimolato l’emergere di meccanismi molecolari di difesa e adattamento. Lo stress è stato, e continua a essere, il motore silenzioso della creatività biologica.

Gli chaperoni molecolari rappresentano un sistema cellulare di protezione altamente conservato, presente in tutte le forme di vita conosciute, dalle protocellule prebiotiche fino all’uomo: assistono il corretto ripiegamento delle proteine, ne prevengono l’aggregazione, ne facilitano il trasporto intracellulare e l’eliminazione quando danneggiate. In assenza di un sistema di controllo simile, la vita non avrebbe mai potuto affrontare gli shock ambientali delle prime ere geologiche né evolvere in forme complesse. Gli chaperoni molecolari possono essere paragonati a una squadra di meccanici sempre all’opera nel motore cellulare: ispezionano, riparano, smontano e sostituiscono componenti danneggiate prima che il danno si estenda. Questo sistema di sorveglianza è tanto più necessario quanto più elevata è la complessità dell’organismo. Per questo motivo, gli esseri pluricellulari hanno sviluppato una rete di chaperoni sempre più articolata e specializzata.

Come evidenziato nei lavori pionieristici di Alberto JL Macario ed Everly Conway De Macario, il sistema degli chaperoni ha seguito l’evoluzione biologica, specializzandosi e ampliandosi in parallelo con l’aumento della complessità cellulare. Nei procarioti le HSPs rispondono prevalentemente a stress di tipo fisico (temperatura, pressione, etc.) e chimico (pH, concentrazioni ioniche, etc.). Negli eucarioti, oltre rispondere a stress fisici e chimici come nei procarioti, le HSPs partecipano anche a processi biologici complessi, intervenendo nelle risposte infiammatorie, nelle infezioni, nelle ipossie/ischemie, nei tumori e nelle malattie neurodegenerative. Un esempio emblematico è la risposta al colpo di calore nei mammiferi, dove l’aumento improvviso della temperatura induce una rapida sintesi di HSPs che impediscono la denaturazione delle proteine vitali. Lo stesso principio si applica a condizioni apparentemente più lontane, come una malattia infettiva o un trauma psichico, dove le cellule interpretano lo squilibrio come un segnale di pericolo da gestire con l’attivazione del sistema chaperonico.

La loro attività è talmente cruciale che il malfunzionamento del sistema degli chaperoni molecolari dà origine a vere e proprie patologie, le chaperonopatie.

Le chaperonopatie costituiscono un nuovo paradigma nosologico, nel quale la causa della malattia è legata a un’alterazione del network chaperonico. Possono essere genetiche (derivanti da mutazioni nei geni codificanti per chaperoni specifici) o acquisite (secondarie a condizioni patologiche croniche, come tumori o infezioni). Da un punto di vista patogenetico, si distinguono in:

  • chaperonopatie da difetto (perdita di funzione), ad esempio alcune forme di neurochaperonopatie;
  • chaperonopatie da eccesso (iperespressione incontrollata con possibile aggregazione e deposizione proteica), ad esempio, alcune patologie infiammatorie croniche;
  • chaperonopatie da errore o collaborazionismo (chaperoni normali ma che funzionano a vantaggio della malattia e non dell’ospite), come nel caso di alcune forme di cancro e di malattie autoimmuni.

Questa classificazione ha aperto nuove prospettive terapeutiche. Alcune molecole chaperoniche, per esempio, sono oggi studiate come bersagli farmacologici nei tumori resistenti alle terapie convenzionali. Inibire selettivamente chaperoni che “collaborano” con il cancro potrebbe rappresentare una strategia di precisione ad alta efficacia. Al contrario, in alcune patologie neurodegenerative si mira a potenziare l’attività degli chaperoni per favorire il corretto smaltimento delle proteine tossiche.

Un ambito particolarmente promettente è quello che riguarda la ricerca di terapie per le neurochaperonopatie, cioè malattie neurodegenerative rare e spesso invalidanti causate da mutazioni in geni codificanti per chaperoni cerebrali. Noi stessi recentemente abbiamo descritto, in una giovane paziente, una nuova rara variante del gene CCT5 associata a una neuropatia motoria a esordio precoce molto invalidante, approfondendone le anomalie istopatologiche muscolari legate alla mutazione del gene CCT5. Con l’avvento delle tecnologie più moderne, incluse quelle di terapia genica, è oggi ipotizzabile per questi rari casi una chaperonoterapia personalizzata, mirata a correggere l’anomalia molecolare alla base della patologia. Per citare alcuni esempi concreti, negli ultimi anni sperimentazioni cliniche hanno riguardato, ad esempio, la malattia di Charcot-Marie-Tooth tipo 2D, per la quale è in fase di studio l’uso di piccoli composti che potenziano l’attività della HSPB1, una piccola heat shock protein implicata nel mantenimento della struttura dell’assone, il prolungamento del neurone attraverso cui si propagano gli impulsi nervosi. Per quanto riguarda invece la sclerosi laterale amiotrofica, sono state effettuate sperimentazioni su molecole in grado di indurre l’espressione di HSP70 – con l’obiettivo di contrastare l’accumulo di proteine neurotossiche – ma che purtroppo ad oggi non hanno dato risultati promettenti.

Si tratta quindi di prospettive ancora sperimentali, ma sostenute da dati preclinici promettenti e da un crescente interesse nella medicina di precisione. In questo contesto, anche le nanovescicole extracellulari si stanno rivelando strumenti innovativi per veicolare chaperoni o modulatori del loro funzionamento direttamente nei tessuti malati. Una forma di “medicina postale” che sfrutta i meccanismi naturali di comunicazione intercellulare per ripristinare l’equilibrio proteico compromesso.

Il sistema degli chaperoni molecolari si conferma dunque uno snodo evolutivo e terapeutico cruciale, in grado di raccontare l’intera storia della vita sulla Terra, dalla sopravvivenza della prima cellula all’aspirazione contemporanea di curare malattie finora incurabili. Lo stress, dunque, non è soltanto una minaccia: è una chiave di lettura dell’evoluzione, una forza creatrice che spinge la vita a organizzarsi, adattarsi, sopravvivere. Come in un’antica lotta darwiniana, ogni crisi ha spinto la biologia a escogitare soluzioni sempre più raffinate. E oggi, paradossalmente, siamo noi a studiare quelle stesse molecole evolute per fronteggiare stress primitivi, nella speranza di utilizzarle per superare le sfide sanitarie del nostro tempo.

 

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