Il coronavirus desta la politica sull’eccellenza della scienza italiana. Ma per competere servono 10 miliardi

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di Gennaro Ciliberto (Presidente della Federazione Italiana Scienze della Vita – FISV)
Fonte: Il Sole24Ore – Sanità: http://bit.ly/37ffwPc

L’epidemia da Coronavirus, il coinvolgimento dell’IRCCS Spallanzani di Roma e il rapido isolamento del virus da parte di un team di ricerca al quale partecipano anche ricercatrici precarie e sottopagate, hanno portato sotto la luce dei riflettori il problema della ricerca in Italia: pochi finanziamenti, molti meno ricercatori rispetto alla media dei paesi europei, lentezza nelle procedure di acquisto di materiali e strumenti di laboratorio per farraginose procedure burocratiche, ostracismo nei confronti della necessaria sperimentazione animale. Chi più ne ha più ne metta.

Levato il prosciutto dagli occhi la politica ha brindato alla capacità italiana di fare buona ricerca con risorse limitate, quasi increduli, e tuttavia ignorando che appena a metà del secolo scorso eravamo il Paese dell’Istituto Superiore di Sanità che ha installato il primo microscopio elettronico (1946) e debellato la malaria (1953), del Nobel per la Chimica Giulio Natta che ha inventato la plastica (1963), primi al mondo a inventare il Personal Computer, grazie alle basi poste da Adriano Olivetti (1964) e terzi, dietro solo a Gran Bretagna e USA nella produzione di energia elettrica da fonti nucleari (1965). Un impulso ignorato, una eredità gettata alle ortiche. Quindi ci chiediamo: cosa succederà questa volta? Questo entusiasmo nazional-popolare è un atteggiamento solo reattivo oppure può essere una vera svolta?

Analizziamo i fatti. Il nuovo Ministro dell’Università e della Ricerca, il Prof. Gaetano Manfredi in recentissime interviste ha dichiarato di volere ottenere un miliardo subito per investimenti in ricerca. Ottimo punto di partenza. Peccato che occorra capire, a finanziaria già approvata, dove reperire questo finanziamento. Ci auguriamo tutti che ci riesca. E in ogni caso un miliardo non è sufficiente per risollevare le sorti dell’Italia. Infatti, per poter raggiungere il minimo sindacabile del 2% del PIL in ricerca, che è quanto dovremmo fare, occorrerebbero almeno 10 miliardi poiché al momento quanto spende l’Italia in ricerca è solo l’1,2%.

Siamo ben sotto la soglia desiderabile per un Paese, settima potenza industriale al mondo, che dichiara di voler essere competitiva. Altro punto che emerge dalle dichiarazioni del Ministro è che il miliardo che ci si ripropone di avere nell’immediato verrebbe speso tra assunzione di circa 1500 nuovi ricercatori, potenziamento delle infrastrutture e formazione professionale (per esempio teniamo conto che ci mancano più di diecimila medici specialisti…).

Sulla indispensabilità di queste mosse siamo d’accordo. Ma non basta. Se potenziamo l’hardware del sistema ricerca, cioè ricercatori e infrastruttura, abbiamo bisogno dei software per farla funzionare, e cioè i fondi per la ricerca. E qui siamo ancora a zero. L’ultimo finanziamento di questo genere è stato il bando PRIN 2017, finanziato una tantum con 400 milioni circa, ottenuti anche tramite ripetuti interventi della farmacologa e senatrice a vita Elena Cattaneo attingendo al famoso tesoretto dell’IIT. Quel bando, alla fine di un lunghissimo iter di valutazione delle proposte, ha finanziato poco meno del 10% dei progetti presentati ognuno mediamente con un significativo taglio della richiesta finanziaria.

Dopo quel bando il nulla. Una misura urgente sarebbe allora la necessità di fare ripartire finanziamenti per progetti di ricerca di base. Chi se ne occuperà? Forse, in parte, l’istituenda Agenzia Nazionale della Ricerca? Della fantasmagorica istituzione, ancora, si sa poco o nulla, o meglio si sa che partirà con un finanziamento per il 2020 di soli venticinque milioni. Occorrono misure urgenti, più investimenti, ma soprattutto da parte del nostro governo il mettere la ricerca scientifica in testa alla Agenda del nostro Paese. Cosa che non ha mai fatto negli ultimi decenni, nonostante le dimostrazioni di eccellenza da parte dei ricercatori che lavorano in casa e la perdita di miliardi pubblici per gli stessi che se ne vanno una volta umiliati dalle condizioni contrattuali e la negazione di qualsiasi orizzonte professionale prima dei cinquanta anni, se ti va bene. La filiera che parte dalla ricerca di base e finisce con la tecnologia e i brevetti genera PIL: questo è un fatto. La politica nostrana si limita alle lodi e i fatti li lascia ai competitor.