Il Nobel a CRISPR\Cas9 insegna il valore della ricerca di base

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Autore: Ferdinando Di Cunto, Università di Torino, Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi

Esiste una linea di pensiero, piuttosto diffusa, per la quale l’unica ricerca scientifica di rilievo sarebbe quella che riesce a produrre applicazioni che hanno un impatto concreto e immediato sulla società. Secondo questo punto di vista, la cosiddetta ‘ricerca di base’ o ‘ricerca fondamentale’ sarebbe poco più di un ‘divertissement’ intellettuale per scienziati e persone curiose. Eppure, il premio Nobel per la chimica appena attribuito, a velocità record, a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna rappresenta l’ennesima, clamorosa conferma di un’idea molto più radicata tra gli scienziati, riassumibile in una frase attribuita a Louis Pasteur: non esiste la scienza applicata, esistono solo le applicazioni della scienza.

Charpentier e Doudna sono state insignite del premio Nobel per aver pubblicato nel 2012 una metodica di modificazione del genoma basata sul sistema CRISPR/CAS9. In parole povere, hanno prodotto le ‘forbici magiche’ che i biologi molecolari stavano cercando da moltissimi anni, per poter introdurre con relativa semplicità modificazioni mirate nella sequenza del genoma di diversi organismi.
La portata rivoluzionaria della loro scoperta consiste nel fatto che la proteina CAS9, enzima capace di tagliare il DNA, riconosce in modo molto preciso specifiche sequenze del genoma utilizzando come guida molecole di RNA, che hanno la stessa sequenza di basi. Pertanto, la specificità dell’enzima può essere cambiata molto semplicemente, cambiando la molecola di RNA, sintetizzabile chimicamente o biologicamente con grande facilità. L’impatto scientifico e applicativo di questa scoperta è stato profondissimo. Usando questo strumento, o attraverso sue modificazioni, è stato possibile introdurre una varietà praticamente infinita di modificazioni mirate, permanenti (genetiche) o transitorie (epigenetiche), nel genoma di cellule e organismi, vegetali e animali. Dal 2012 ad oggi sono stati pubblicati più di 21000 articoli che hanno sfruttato in qualche modo questo sistema.

La rilevanza applicativa è stata talmente forte da scatenare una feroce disputa brevettuale tra l’Università della California  e il Broad Institute di Boston. Il ‘genome editing’ ha spalancato prospettive inimmaginabili per la cura delle malattie genetiche rare e del cancro e varianti del sistema sono state recentemente utilizzate anche per produrre test rapidi per il SARS-CoV2. La modificazione non autorizzata del genoma di due gemelline da parte del ricercatore cinese He Jankui ha infine dimostrato che, grazie a questa metodica, l’inimmaginabile è diventato non solo concepibile, ma anche tecnicamente fattibile, spingendo le diverse componenti della società a riflessioni approfondite sull’uso etico del sistema.

Tuttavia, la rilevanza applicativa delle tecnologie di ‘genome editing’ non deve far dimenticare che il fondamentale studio di Charpentier e Doudna si è basato sulla stratificazione di anni di ricerche fondamentali, portate avanti fin dal 1987 da un ristretto club di scienziati ‘di nicchia’, che hanno decifrato pezzo dopo pezzo un curioso e complesso sistema con cui moltissime specie batteriche si proteggono dai virus, che vede in proteine simili a CAS9 le armi fondamentali. Ancora una volta, come è sempre successo nella storia della biologia molecolare, lo studio ‘di base’ sui microorganismi ha fornito strumenti applicativi che hanno trasformato i connotati della biologia in tutti i suoi settori.

In un momento in cui ci si interroga come spendere bene le risorse dedicate allo sviluppo nel post-pandemia, appare quanto mai opportuno ricordare ai regolatori che la miglior garanzia di poter rispondere in modo adeguato a situazioni impreviste consiste in una adeguata conoscenza dei meccanismi fondamentali dei fenomeni naturali.